Alle origini di una tra le più prelibate ricchezze della terra.
Frutto della terra conosciuto, si pensa, fin dall'antichità, presente nell'alimentazione di Sumeri e Babilonesi, il tartufo racconta una storia incredibile che lo ha portato, oggi, ad avere un valore economico non indifferente, apprezzato in tutto il mondo e tutelato come patrimonio dell'Umanità.
Le origini del tartufo.
Nel primo secolo d.C. troviamo la prima vera testimonianza relativa al tartufo nella Naturalis Historia di Plinio in Vecchio, dalla quale si può capire come il tartufo fosse molto apprezzato dai Romani, che ne avevano appreso l'utilizzo in cucina dalle popolazioni Etrusche, ma ci sono notizie del suo utilizzo anche nell'antica Grecia. Qui la mitologia ne rivendica l'origine: il tartufo si sarebbe formato a seguito di un fulmine scagliato da Zeus vicino a una quercia. Da questo legame con il re di tutti gli dei deriverebbe anche l'idea che il tartufo fosse un potente afrodisiaco.
Scomparso per molti secoli, questo prelibato frutto della natura rimase sepolto nei boschi, nutrimento per volpi, lupi e cinghiali, fino a quando, le ricche tavole della nobiltà rinascimentale lo lasciano apparire nuovamente il tutta la sua prelibatezza. A metà del 1500 compare l'Opusculum de tuberibus, il primo vero scritto dedicato interamente al tartufo ad opera di Alfonso Ceccarelli, un medico, scrittore e storico di origini umbre.
Nello stesso periodo Andrea Cesalpino, botanico e medico, che sviluppò nuovi sistemi di classificazione delle piante, inserisce i tartufi tra i funghi. Nel secolo successivo troviamo il tartufo presente sulle tavole dei ricchi piemontesi, ma questo era il tartufo bianco, tipico della regione. In breve la ricerca di questa prelibatezza culinaria divenne un lieto passatempo per i nobili Europei in visita a Torino, che erano invitati ad assistere o a partecipare alle battute di raccolta organizzate dai sovrani Italiani.
Gli studi scientifici.
Verso la fine del 1700 compaiono i primi studi scientifici: risale infatti al 1780 il primo testo dedicato al Tartufo Bianco d'Alba, chiamato anche Tuber magnatum Pico. Cinquant'anni dopo viene pubblicata l'opera che fondò l'idnologia, ossia la scienza che si occupa dello studio dei tartufi, la Monographia Tuberacearum, di Carlo Vittadini. Qui sono descritte ben 51 specie diverse di tartufi.
Ma se oggi il Tartufo Bianco d'Alba è divenuto un'eccellenza culinaria conosciuta a livello mondiale, alla quale sono dedicate importanti fiere e centri studi, concentrati in Piemonte, lo si deve in particolare a Giacomo Morra, un ristoratore di Alba che negli anni 20 del secolo scorso ebbe l'idea, vincente, di organizzare attorno al tartufo un evento gastronomico capace di divenire attrazione turistica e richiamo internazionale, dato che ogni anno iniziò ad inviare un prezioso tartufo ad un personaggio famoso: Winston Churchill nel 1953, o Marylin Monroe l'anno successivo, Papa Paolo VI, Gianni Agnelli e molti altri. Fu sempre lui a fondare la prima azienda dedicata alla commercializzazione e trasformazione del Tartufo Bianco d'Alba nel 1930.
L'arte della ricerca del tartufo.
Dai tempi della ricerca per diletto a quelli del riconoscimento di un patrimonio culturale che è divenuto vera e propria arte. Così nel 2021 tutta la sapienza, la conoscenza dei luoghi, l'allevamento dei cani sono divenuti ufficialmente patrimonio dell'Umanità con l'iscrizione della "Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali" nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale Unesco. Un riconoscimento importante non solamente per i risvolti sull'economia locale e sul turismo ma anche per la necessità di tutelare le tradizioni, radici sulle quali costruire il futuro.
Il tartufo nel piatto.
Gli abbinamenti migliori sono i piatti neutri, che esaltano le caratteristiche e l'aroma del tartufo. Così si sposa perfettamente con i tagliolini fatti in casa mantecati nel burro.